Passioni vuote

C’è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene.

Se nel reale si rischia di soffocare, nell’irreale di perdersi. Lo sa bene ogni Emma Bovary, archetipo della signora di provincia, sognatrice, insoddisfatta e inquieta.

L’inquietudine, in realtà, come condizione esistenziale non è da considerarsi negativa. E’ di sicuro un vuoto che si genera tra il modo in cui le cose sono e il modo in cui pensiamo che dovrebbero essere. Si colloca tra il reale e l’irreale, ma si lega ad un’intima esigenza di cambiamento e di superamento di una realtà frustrante o banale, ed è comunque segno di un’intensa vitalità dell’anima. Tuttavia se non canalizzata in un progetto di vita che abbia un senso produce passioni vuote e inutili.

Un po’ di adulterio è il minimo indispensabile per tenersi di buon umore, per non scappare di casa, per far fruttare il patrimonio speso in mutande fantasia( Natalia Aspesi).

Le donne come Emma Bovary combattono la noia collezionando oggetti e amanti, nell’illusione di sentirsi protagoniste di storie romantiche e avventurose, cadendo nel più banale dei clichè. Sposano uomini che dovrebbero garantire loro l’affermazione sociale, seguono i riti e le convenzioni richiesti per far parte del piccolo mondo antico, e poi cercano altrove le emozioni che il marito non può dare. Un imperdonabile spreco di intelligenza, di rispetto di sè, di tempo, inseguendo figure maschili tremendamente meschine, che l’illusione rende protagonisti di fiabe d’amore adolescenziali.

Le avventure hanno poco a che fare con il sesso e molto con il desiderio di attenzione, di sentirsi speciali perchè, quando si fa  quello che non si dovrebbe, allora ci si sente come se davvero si stesse facendo ciò che si vuole, voltando le spalle alla persona che si è diventati, cercando di far vivere altre parti di sè, troppo a lungo sacrificate. L’adulterio sembra essere l’unico esercizio di affermazione della propria libertà e individualità. In realtà inizia un gioco di proiezioni e autofalsificazioni, si scelgono modelli da imitare e sentimenti da provare, si idealizzano e si romanzano aspetti banali della propria esistenza. Passioni mediocri diventano grandi amori perchè hanno la funzione di riempire vuoti, colorare esistenze altrimenti grigie, integrare rapporti coniugali nati stanchi. L’aspettativa è l’illusione di trovare nell’incontro amoroso la vera realizzazione di se stesse, di scoprire, con le lenti dell’infatuazione, la bellezza della vita, di sentirsi vive nello sguardo di un uomo.

Ci sono matrimoni che si reggono su tradimenti seriali e taciti accordi. Sono quelli in cui ci sono patrimoni da difendere.

La mentalità della borghesia di provincia somiglia molto a quella aristocratica del settecento. Una cosa era la passione, un’altra la vita quotidiana. Il matrimonio, l’unione stabile, erano connessi a ragioni di utilità, protezione, reddito, casata, convenienza, sopravvivenza, status. L’amore con la A maiuscola era un evento collaterale, collegato all’impossibilità e alla sofferenza in quanto evento eccezionale, fuori dagli schemi della famiglia.

Certe donne amano così tanto il proprio marito che per non sciuparlo prendono quello delle amiche(A. Dumas).

Un matrimonio della buona borghesia di provincia finisce raramente per corna. Le relazioni extraconiugali sono tacitamente ammesse, purchè non modifichino gli assetti familiari. Più facile che ci si lasci dopo un dissesto economico, venendo meno la ragion d’essere di talune unioni.

Il bovarismo diffuso porta ad uno sdoppiamento della persona che si trova a recitare ruoli diversi, ugualmente inautentici.

La moglie innamorata e gelosa che declama nei salotti, le doti sessuali del marito o il suo instancabile desiderio( negando l’inesorabile evidenza di corpi disfatti e facce da pesce lesso); la madre premurosa che accompagna i figli nelle innumerevoli attività in cui sono impegnati allo scopo di realizzare le aspirazioni dei genitori, compensando i loro fallimenti; la donna impegnata nel sociale, vendite di beneficenza, mensa dei poveri magari indossando una Kelly da cinquemila euro; l’imprenditrice creativa, con produzione o commercializzazione di oggetti economici che l’estro artistico della signora trasforma in pepite d’oro; l‘amante innamorata, che soffre dell’impossibilità di lasciare il marito, di far soffrire i figli, passa le giornate a struggersi, a sognare, salvo fuggire a gambe levate qualora l’amante le chieda di più degli incontri segreti che è disposta a concedere.

Il tragico epilogo di certe vite avviene solo nei romanzi, e se la povera Emma Bovary si suicida travolta dai debiti e dai pettegolezzi, la nostra cavalca l’onda del gossip, sicura del solido supporto coniugale e della tacita approvazione sociale, e, il più delle volte, approda ad una placida vecchiaia dove gli inquieti ardori lasciano il posto ad interminabili tornei di burraco.

La vita non è una questione di avere delle buone carte ma di saper giocare bene anche una mano scarsa.