Per anni l’amore passionale è stato un evento collaterale del matrimonio. Un evento eccezionale, che viveva i suoi turbamenti e i suoi drammi al di fuori della famiglia.
Il matrimonio, l’unione stabile, erano connessi a ragioni di utilità, protezione, status, mai a ragioni sentimentali. E per questo duravano così a lungo. Se non sapevi tenerti un uomo, non valevi nulla, e se lui se ne andava, perdevi tutto. Erano soprattutto gli uomini ad andarsene, le donne non osavano farlo, spesso dipendevano economicamente dal partner e non se lo potevano permettere. Le nostre nonne continuavano a portare avanti il matrimonio anche se non erano più amate, anche se venivano tradite. Stare insieme era una convenzione, la coppia viveva nella famiglia patriarcale, contenuta e sostenuta da una fitta rete sociale.
Il matrimonio d’amore è un’invenzione dell’uomo moderno che si declina, ormai, al singolare, perchè si è indebolito il legame tra individuo e comunità. L’attenzione alla dimensione privata riempie il vuoto sociale che si è venuto a creare. La dimensione amorosa fa delle emozioni il surrogato di valori spirituali ormai desueti, e l’amplificazione dell’emotività rappresenta, per molti, l’unico evento che permette la conferma della propria esistenza, del proprio valore, del piacere di stare al mondo.
Tutta l’importanza data oggi ai sentimenti come via per la realizzazione di sè, tanto da pretendere di fondare la vita a due solo sulla passione amorosa, ha determinato la fine del matrimonio come istituzione che resiste nel tempo e fonda la vita della comunità.
Sebbene l’istituzione matrimoniale rappresenti un importante vincolo sociale e legale che suggella la formazione della famiglia, non si può dire certo che sia un’unione autentica, perchè trae il suo valore e la sua rispettabilità non tanto dai sentimenti dei due coniugi, quanto dal contratto che li lega. Un’immensa mole di scartoffie, riti, giuramenti che ne dovrebbero garantire la durata. E’ un vero e proprio certificato di garanzia. Le persone, infatti, sembrano volersi tutelare, seppure inconsciamente, dall’inevitabile fine dell’amore con un contratto che li preservi dall’usura del tempo. Regole di comportamento, norme e divieti, dovrebbero rendere possibile la convivenza, quando la passione scompare e ci si vuole sentire, comunque, ben sistemati, garantiti.
Insomma si pretende di fondare sull’amore un’istituzione che nasce col preciso scopo di garantire l’unione anche quando l’amore finisce, quando il rapporto non funziona più. E’ una contraddizione.
L’amore oggi si fonda solo su se stesso, sulla personalissima idea di felicità dell’individuo, non lascia spazio alle norme, alla tradizione, alla Chiesa.
Chi ricerca la felicità individuale attraverso l’emozione e la passione non dovrebbe sposarsi.
Il matrimonio non è fatto per persone inquiete, vitali e curiose. Scegliere una persona per tutta la vita significa scommettere senza alcuna base di certezza razionale, anzi una vera follia, se è vero che oggi la felicità si misura sull’intensità della passione. Per accedere al matrimonio bisogna avere una capacità di resistere alla noia quasi morbosa. Il dilemma della moderna felicità è, infatti, tra una noia rassegnata e la passione, anche se tormentata.
L’amore passione vive di ostacoli, eccitamenti, adii; il matrimonio, invece, vive di consuetudini, vicinanza, quotidianità. Oggi si cerca di rendere più facile il divorzio, ma forse si dovrebbe rendere più difficile il matrimonio, se si pensa che per concluderlo sia sufficiente la fine della passione.
D’altra parte la logica consumistica, che ci porta a sostituire gli oggetti quando si rompono piuttosto che ripararli, o, semplicemente, a buttarli via se si offrono opportunità più vantaggiose, applicata ai sentimenti, genera questa idea di intercambiabilità delle persone, porta ad una sorta di monogamia seriale. Si rompe una coppia per imbarcarsi in un’altra, che assuma la stessa importanza e rivesta lo stesso ruolo di ricettacolo di aspettative e speranze. Non essendoci nulla di durevole, la libertà non consiste più nello scegliere una linea d’azione, un progetto. Essa diventa la scelta di mantenersi aperta una libertà di scelta, che si traduce in una non scelta, e quindi nel rifiuto di assumersi responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri.
La crisi del matrimonio nasce da questa grande importanza attribuita all’emozione nella nostra vita, e dall’impossibilità che questa si rinnovi, innamorandoci più volte della stessa persona. L’unica garanzia di durata è avere un animo quieto, capace di credere che un rapporto basato sull’affetto coniugale non sia una copia sbiadita dell’amore, inaccettabile e mortifera, qualcosa da buttare via, il prima possibile, per essere autenticamente felici.
Aveva deciso di lasciarla. Non provava più attrazione per la moglie ormai da dieci anni e di questo provava vergogna. Qualcosa di impercettibile e di fatale era accaduto per cui era impossibile dormire nello stesso letto. La consuetudine coniugale aveva inspiegabilmente aumentato il pudore tra loro e rendeva difficile anche spiegarsi. E il dispiacere nasceva dal ricordo di lei ragazza, che lo attendeva per amarlo nei campi, dalla consapevolezza della brevità delle cose, e dall’impossibilità del sentimento di riprodursi e rinnovarsi nelle stesse persone. Si ritrovarono soli nel salotto. Stettero un pò in silenzio. Di tanto in tanto la guardava, stava per cominciare a parlare quando la moglie, alzandosi, gli strinse teneramente la mano. Egli si alzò, si avvicinò a lei, la baciò sulla tempia ed uscì.( Affetto di Goffredo Parise)
Mi chiamo Alessandra Pennetta, sono un’insegnante di Storia e Filosofia, divorziata, fidanzata. Ho due figli di 17 e 21 anni, una madre ottantenne, un bassotto pelo ruvido. L’idea di fare un blog nasce dal piacere di comunicare, di dare e ricevere consigli, di stare al mondo con una postura nuova, affrontando gli eventi in modo attivo, tonico, personale.