Il tempo passato che non passa

Il tempo che ritorna

Viviamo nel tempo; il tempo ci trasforma, ci contiene, a volte ci sovrasta.

Accade quando il passato ritorna. Eventi marginali, assurti ormai ad aneddoti, e ricordi approssimati, divenuti lentamente certezze, tornano a visitarci e a farci male. Il tempo oggettivo esiste e procede sempre in avanti. Ma esiste anche quello soggettivo, quello personale, che si misura in funzione del nostro rapporto con i ricordi.

Perciò quando accadono eventi che risvegliano vecchi ricordi o ne creano, improvvisamente, di nuovi, sembra che il tempo abbia ingranato la retromarcia, come se il fiume risalisse la corrente.

E serve a poco perseguire il tempo che corre in linea retta, sperando che continui all’infinito e ci renda irraggiungibili, stagliarsi come una freccia in una traiettoria di fuga, sicuri di sparire all’orizzonte.

Il labirinto del passato è pronto ad ingoiarci, nonostante abbiamo cercato di creare, per uscirne fuori, segmenti rettilinei con una serie indefinita di punti a capo.

Manipolare il tempo

Nella tradizione popolare la tecnica del racconto può rendere il tempo ciclico o immobile. E’ un’operazione che si compie per ottenere l’effetto di durata e che agisce saltando intervalli di mesi o di anni, trascurando i dettagli non utili e insistendo sulle ripetizioni.

Il piacere infantile di ascoltare le storie consiste, soprattutto, nell’attesa di ciò che si ripete, nella sequenza di cause ed effetto sempre uguali, nella cantilena di parole note. Manipolare il tempo è un modo semplice di controllare la paura della forza dirompente degli eventi.

Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici?

E più avanti si va con gli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi.

L’autoassoluzione che nega il tempo

La storia che raccontiamo a noi stessi è di gran lunga più pericolosa di quella che raccontiamo agli altri, per essere accettati.

Ne Il senso di una fine di J.Barnes la tragicità del passato irrompe nella vita di Tony, che lo aveva rimosso in quanto doloroso. Il senso di fallimento che l’abbandono di Veronica gli aveva inflitto ai tempi della scuola, tradendolo con l’amico Adrian, il suicidio improvviso di quest’ultimo poco dopo, erano episodi che non facevano parte della sua selezione biografica. Così l’arrivo di una lettera quarant’anni dopo, il riemergere del ricordo di un’azione crudele compiuta e opportunamente dimenticata, rivela che ciò che per lui era stato un dettaglio, uno sfogo d’orgoglio, era stato determinante per la vita degli altri e per la loro rovina.

Chi decide il peso delle azioni compiute? Chi ne determina l’importanza? Quanta superficialità c’è nell’autoassolversi e nel selezionare gli eventi nella memoria, scordando dettagli che per altri sono macigni?

Festina lente: frenare il tempo per dare il giusto peso alle cose

Affrettati lentamente dicevano gli antichi, festina lente. Perchè il tempo scorre in fretta, è vero, per lasciare che i sentimenti e i pensieri si sedimentino, maturino e si distacchino da ogni impazienza.

Chi pensa di poter imporre i propri tempi agli altri, chi non rispetta i tempi di maturazione dei sentimenti altrui, chi manipola il tempo a suo piacimento e per la sua utilità, si ritroverà travolto dal passato, con tutto da ricominciare, in un luogo di partenza ormai irriconoscibile, perchè consumato dal passare degli anni.

Non esiste mai una via breve nei sentimenti, chi la pretende non rispetta, chi la pretende non ama.