Perchè l’amicizia finisce

Chi smette di esserti amico non lo è mai stato, diceva Seneca. Ma è davvero così?

Quando un amico si allontana, senza un motivo plausibile, la sensazione che si impossessa di noi è quella di aver subito un’ingiustizia. La nostra lealtà al sentimento ci impedisce di comprendere la motivazione di questa sorta di abbandono ingiustificato, ma, come accade nell’amore, le spiegazioni razionali lasciano il tempo che trovano.

Gli antichi erano ossessionati dalla purezza dell’amicizia che doveva essere tra pari, fondata sulla virtù, disinteressata, duratura.

Ma se l’amicizia è un sentimento non può sfuggire all’ambivalenza. Non siamo capaci di amare senza odiare, quello che ci attira sempre un po’ci respinge, la vicinanza ci rassicura ma ci soffoca, i consigli ci sostengono ma ci limitano, le richieste ci lusingano ma ci scocciano.

Siamo così calati nella contingenza che ci è impossibile promettere l’eternità anche a noi stessi. Cambiamo e tutto cambia intorno a noi, anche quello che sembra immutato subisce, inevitabilmente, delle trasformazioni.

Un amico è quello che incontri con gioia, anche dopo anni, quello con cui sembra di poter riprendere un discorso mai interrotto.

Ma non è vero che tutto è come prima.

Il sapore dolce amaro del revival tra compagni di scuola nasce dalla terribile consapevolezza che quel tempo, che scorre inesorabile sulle facce altrui, specchio senza filtro della propria, ha tracciato una sottile estraneità che affiora all’esaurirsi delle parole note. L’amarcord di adolescenze condivise è, in realtà, la narrazione complice di un passato solo verosimile, ricostruito dai contributi selettivi di una memoria generosa e rispettosa del racconto che ognuno ama fare di se stesso.

Gli amici sono testimoni di quello che eravamo e che non vogliamo o non possiamo più essere. Ecco perchè chi cambia vita cambia amici. Non è una scelta consapevole, non è soltanto la perdita di una condivisione e di un interesse comune. Questo svilirebbe il senso di un’amicizia. E’ un processo inconscio, una difesa. Chiudere con il passato ci aiuta a non soffrire. Chiudere con chi ci ha conosciuto profondamente ci consente di reinventarci e di darci un’altra immagine di noi stessi. Niente di personale, dunque. Abbiamo bisogno di resettare ogni tanto, e quanto più profondo è stato il rapporto, tanto più c’è il bisogno di allontanarsene. E’ una fuga da noi stessi, in realtà, l’altro ha la sola colpa di essere entrato con noi in una relazione troppo profonda.

La vita di ognuno di noi è fatta di cicli, di chiusure e di rinascite. Un nuovo lavoro, un nuovo amore, la nascita di un figlio, il divorzio, il lutto, la malattia sono momenti di trasformazione, di bilancio, di cambiamento. I compagni di viaggio cambiano, non perchè abbiano commesso degli errori ma perchè, all’improvviso, non ci sono più affini. Allora si ingigantiscono i gesti, soprattutto quelli mancati, si fraintendono le parole, tutto diventa pesante perchè si avverte la necessità di cambiare pelle.

Gli eventi critici dell’ esistenza, sia tristi che felici, richiedono un ripiegamento su se stessi per raccogliere le forze, un rinnovato egoismo che determina un inevitabile mutamento della relazione con gli altri. Le dinamiche cambiano, le differenze di sensibilità si accentuano, parole un tempo leggere diventano macigni, offese inaccettabili. Una telefonata mancata diventa prova di disinteresse, la libertà, fondamentale nell’amicizia, diviene carica di responsabilità e aspettative disattese.

In Addio ai fantasmi di Nadia Terranova Ida, la protagonista, torna nella sua casa di bambina e riattraversa la sua storia, segnata dalla traumatica scomparsa del padre, per liberarsi dall’ossessione di quella perdita che ha determinato il fallimento di tutte le sue relazioni, anche quella con l’amica del cuore, Sara.

Ida

Il nostro rapporto era finito sulla soglia dei vent’anni, riassumendosi nello sguardo reciproco di due testimoni involontarie che non desideravano più quel ruolo. Ci ostiniamo a ritenere la memoria una torta che si può condividere ma un fatto non è un fatto: è forse un dettaglio a cui diamo risalto per via del dolore, che diventa materia per il nostro inconscio. Il suo sguardo su di me era stato privilegiato. Che mi piacesse o meno era stata la nostra vicinanza a produrre il suo distacco. Avevamo diciannove anni quando Sara aveva abortito. Da tempo non eravamo più le stesse persone, eravamo già lontane dalle ragazzine che si erano incontrate, ma quell’evento ci avrebbe divise per sempre.

Sara

Forse sapevi più di me come mi sentivo prima di abortire, ti è successa una cosa orribile, tuo padre è stato un vigliacco a lasciarvi così. Siamo tutti fragili Ida ma tu hai permesso al tuo dolore di divorarti. La tua ferita è diventata più grande di te. Non vedevi niente, non mi hai mai vista davvero. Ho sopportato la tua dittatura però quando ho abortito non ce l’ho fatta, sono cambiata. Cosa vuoi da me? Se ti serve aiuto io ci sono ma non ho bisogno di rivederti. Io so chi sei.

Finchè non aveva avuto un dolore tutto suo Sara era stata in grado di tollerare quello dell’amica. Il suo allontanamento era stata la sua difesa, il perimetro su cui aveva edificato la sua crescita.

Violare la distanza alla ricerca di un impossibile riavvicinamento non ha senso. Bisogna imparare a lasciare andare chi vuole andare via.

Forse il segreto per restare amici è lo stesso per restare amanti, mantenere una distanza di sicurezza, preservare una parte di sè dall’eccesso di intimità. Quando si è troppo vicini lo specchio benevolo che l’amico deve essere per noi rischia di rimandarci un’immagine deformata dai troppi dettagli. La giusta distanza, invece, ci consente un margine di opacità in cui la nostra fantasia può disegnare, di volta in volta, l’immagine che vogliamo di noi stessi.