La difficoltà di una dichiarazione d’amore va ben oltre quella di una normale comunicazione. Pur affermando di essere innamorati resta il fatto che il significato che attribuiamo alle parole può essere profondamente diverso. Se è vero, infatti, che il linguaggio è tutto quello che abbiamo per colmare la distanza tra noi e gli altri, scopriamo presto che le parole hanno radici e origini diverse per ciascuno e che gran parte del sentimento, che vogliamo manifestare, si perde nell’incertezza del modo in cui viene captato, ma anche nella confusione stessa con cui lo esprimiamo. Pretendiamo, infatti, di dare un senso di eternità e durata a qualcosa che è inevitabilmente legato alla contingenza del sentire, e questo rende sempre inadeguate le parole che scegliamo.
Le parole d’amore non sono mai descrittive, richiedono sempre un’immedesimazione, evocano una sensazione. Non esistono dichiarazioni vergini. Tutto è stato già detto e sentito. Anzi a volte viene il dubbio che non potremmo mai dirci innamorati se i romanzi o i film che vediamo non ci avessero, in qualche modo, insegnato a riconoscere e a dare un nome a ciò che sentiamo.
Il linguaggio amoroso non può essere mai solo privato, è fatto di stereotipi e, soprattutto, di metafore.
In inglese innamorarsi si dice fall in love, letteralmente cadere in amore. Cadere è un’azione passiva, che richiama comunque un incidente, una disgrazia. Noi bruciamo di passione, siamo pazzi d’amore, i nostri cuori si spezzano. E se è vero che le metafore sono profezie che si autoavverano si intuisce facilmente l’idea di struggimento e sofferenza che accompagna il nostro essere innamorati.
L’innamorato è fulminato dall’amore, è folle e solo. Le parole d’amore richiamano sempre questa passività, l’amore è qualcosa che capita, di cui non abbiamo colpa. Ecco perchè il linguaggio amoroso tende ad essere esagerato, eccessivo, perchè è qualcosa di cui non si è chiamati a rendere conto fino in fondo. Quante bugie diciamo nella seduzione, convinti di non poter essere amati per noi stessi, cerchiamo di essere il personaggio che pensiamo possa affascinare chi vogliamo conquistare. Nel corteggiamento interpretiamo più che ascoltare quello che ci viene detto, alla ricerca di sottintesi e significati celati che possano in qualche modo rivelare l’interesse dell’altro per noi. Il linguaggio, in quei momenti, è volutamente generico, per prudenza si parla d’amore in termini astratti, il che ha il vantaggio, rispetto alla comunicazione diretta, di ridurre al minimo la reazione risentita per una parola considerata inopportuna. Per non scoprirsi troppo, per paura di non essere corrisposti, si usa un linguaggio cifrato, ambiguo, perfetto per un’eventuale dietro front.
L’amore corrisposto ha, invece, il suo linguaggio codificato, e le parole, di solito usate, non sono sinonimi.
Se in inglese Ti voglio bene e Ti amo si dicono con un’unica espressione: I love you, in Italia le due espressioni mantengono un significato diverso. Si ama il partner, si vuol bene ai genitori o agli amici.
Ti voglio bene è considerata un’affermazione che si riesce a fare facilmente perché non impegna. Il voler bene non richiede esclusività, non nasconde una promessa di eternità. Ti voglio bene significa ci tengo a te ma non tanto, mi preoccupo per te ma non voglio dividere la mia vita con te, cioè anche un po’ con te, ma non solo con te. Ti voglio bene solleva dal senso di colpa di non provare un coinvolgimento sentimentale, è un modo amicale affettuoso di uscire dall’impasse di una dichiarazione unilaterale a cui non si può rispondere. Mille ti voglio bene non valgono un ti amo.
Ti amo dovrebbe significare ti ho scelto, voglio stare solo con te, ho un progetto. Ti amo non è solo la sensazione di pienezza di un momento ma è uno slancio verso il futuro, un impegno, ecco perché fa paura dirlo. Ti amo non dovrebbe attendere una risposta nel senso che vale sempre di più la prima affermazione. Al ti amo si può rispondere anche io ma la risposta attesa è sempre un ti amo anch’io, perché il sentimento non prevede abbreviazioni sintattiche.
Ti adoro invece è usato, perlopiù, come una parola vuota di sentimento. Ti adoro significa mi piaci molto, sono affascinato, rappresenti il mio desiderio, è una dichiarazione che rimane in superficie vuol dire tutto e niente.
Per il solo fatto di esprimere un sentimento che cambia continuamente il linguaggio amoroso rimane, in realtà, poco significativo. Sicuramente è più importante avere cura che le parole non siano discordanti rispetto ai toni e ai gesti che le accompagnano.
Tuttavia questa ambiguità della comunicazione, questo parlarsi, fraintendersi, chiarirsi, nutre la dinamica amorosa consentendo quel non ancora, quella necessità di capirsi per possedersi, senza mai riuscirci del tutto, che mantiene intatto il desiderio.
Infatti la prima cosa che si perde, quando l’amore sta finendo, è il gergo amoroso, il linguaggio domestico. Subentra l’estraneità, passa la voglia di interpretare le parole dell’altro, si appuntano gli errori. Quello che prima divertiva risulta irritante, le parole diventano inopportune, in mille modi diversi.
Il linguaggio resta una convenzione e indubbiamente ognuno di noi carica le parole di significati che hanno a che fare con il vissuto personale. Probabilmente ci diciamo cose che non capiamo mai fino in fondo e a cui non diamo lo stesso peso, ma anche se uno sguardo o un abbraccio comunicano molto più sinceramente un sentimento, un ti amo gli da corpo, lo rende tangibile perché, come diceva Nanni Moretti, le parole sono importanti.
Mi chiamo Alessandra Pennetta, sono un’insegnante di Storia e Filosofia, divorziata, fidanzata. Ho due figli di 17 e 21 anni, una madre ottantenne, un bassotto pelo ruvido. L’idea di fare un blog nasce dal piacere di comunicare, di dare e ricevere consigli, di stare al mondo con una postura nuova, affrontando gli eventi in modo attivo, tonico, personale.