Di che taglia è la bellezza?

Naturalmente la small, ma liscia, tonica e senza cellulite.

Ne sa qualcosa la povera Vanessa Incontrada, massacrata dal web per non essere riuscita a perdere i chili accumulati in gravidanza, come gran parte delle donne normali.

I canoni estetici, si sa, cambiano negli anni, e se le nostre mamme si muovevano con disinvoltura nella taglia 46 e non conoscevano la fatica e il sudore delle palestre, noi viviamo con l’ossessione del corpo perfetto.

Il concetto di salute e armonico benessere del singolo organismo ha lasciato il posto, come dice Z.Bauman, all’idea di forma fisica, una perfezione che non può essere raggiunta, che richiede un continuo superamento del proprio limite, un feroce autocontrollo, una continua ansietà.

La salute attiene alla norma mentre la forma fisica richiede il superamento dello standard e condanna alla frustrazione e all’infelicità, creando vere e proprie forme di disagio psichico, che senza arrivare a patologie vere e proprie come l’anorressia e la bulimia, determinano l’agire e il sentire di molte persone.

Vigoressia, dipendenza dallo sport, Ortoressia, ossessione per il cibo sano, Drunkoressia, non mangiare per ingerire superalcolici, night eating syndrome, ricorrenti episodi di alimentazione notturna, disturbi evitanti e restrittivi di intere categorie di cibi.

Per non parlare delle varie tribù del cibo: vegeteriani, vegani, crudisti, respiriani.

Josè Saramago ad un giornalista che gli chiedeva se fosse favorevole alla liberalizzazione delle droghe rispose “prima liberalizziamo il pane che è soggetto ad un proibizionismo feroce in gran parte del mondo occidentale”

Il cibo è diventato la principale occupazione dell’essere umano. Intorno al cibo prolifera una fiorente industria di nutrizionisti, personal trainer, medici estetici. Una vera e propria Dietocrazia, aveva ragione Naomi Wolf nel Mito della bellezza, la dieta è il più potente sedativo politico per molte donne. Bilancia e dieta al posto del busto vittoriano, della verginità prematrimoniale, della cintura di castità, del padre padrone, della regina del focolare domestico negli anni cinquanta.

Sottomesse ad un parametro numerico da rispettare accettiamo da un sistema esterno sociale, maschile, sessuale, la regolamentazione dei nostri bisogni e dei nostri desideri.

Il corpo viene vissuto come un nemico da combattere, sembra di essere ritornati all’ideale sacrifico e ascetico del Medioevo.

Tutti gli sforzi, d’altro canto, sono destinati a fallire, diversamente come si manterrebbe tutto il fiorente businnes se non sull’obsolescenza programmata delle diete?

La cosa fondamentale è generare nelle donne l‘idea di essere grasse anche quando sono normali. Foto-ritocchi e anoressizzazione digitale dei corpi femminili creano figure mostruose e irraggiungibili e, nonostante ci siano fenomeni di inversione di tendenza come le modelle curvy, l’immaginario femminile ha subito ormai un danno permanente. L’industria dell‘infelicità vende di più a donne con bassa autostima, donne troppo dipendenti dalle aspettative estetiche altrui.

Nessuna dieta può modificare le naturali esigenze fisiologiche del corpo umano. E’ uno scontro tra natura e cultura.

Il fallimento è dovuto all’incongruenza tra la domanda consapevole che esige la nostra sottomissione a diete rigide, pena il senso di colpa, e la domanda inconsapevole che ci fa il nostro corpo perchè magari ha bisogno del cibo come corazza verso l’esterno, come ansiolitico, come antidolorifico che annulla i desideri.

Il bisogno di regole ferree porta sempre con sè il piacere di aggirarle, perchè, oltre alla necessità di alimentarsi,  il cibo nasconde anche il desiderio di autodeterminarsi.

Torniamo ad amare il nostro corpo, a vederlo come luogo di piacere, a mangiare sulla base dei segnali della fame naturale, ricostruiamo un recinto perimetrale non negoziabile della nostra individualità dove nessuna operazione di marketing riesca a penetrare, liberiamoci di diete e bilance.