Chiamami col tuo nome

Chiamami col tuo nome, fammi diventare chi sei purchè tu possa diventare chi sono io.

A volte accade. Diventiamo chi amiamo, essere e avere si confondono, questo è ciò che chiamiamo intimità. Una cosa così rara che va custodita con chiunque la si provi. Uomo o donna non importa.

Il film di Guadagnino non vuole trattare una tematica omosessuale. Il fatto che la storia d’amore sia tra due uomini Elio, un adolescente, musicista, sensibile, introverso, che trascorre le vacanze estive con i genitori in Italia, e Oliver, studente universitario del padre di Elio e suo ospite, bello, intrigante, spudorato, è solo un caso.

Quello che accade in un’estate diversa è la scoperta della passione, quella fusione completa dei corpi, quella apertura totale verso l’altro, dove si è completamente vulnerabili e la vergogna non esiste.

Non c’è denuncia o rivendicazione in questo microcosmo geografico e temporale, la campagna lombarda negli anni 80. Numerose le citazioni artistiche, letterarie, musicali ma la natura prevale su tutto, rigogliosa. Uno scenario irrealistico, un’incantevole Arcadia, più da guardare che da vivere, ma capace di creare una struggente nostalgia per qualcosa che ci sembra di aver già vissuto.

Elio non afferma un’identità sessuale, una scelta netta. Vive l’adolescenza, stagione confusa e aperta in cui  prevale l’esplorazione. La scena in cui si masturba con la pesca, il sesso con la coetanea sono momenti che segnano il crescendo del desiderio sino alla  sua esplosione finale, che stravolge quello che credeva di essere e di desiderare sino a quel momento.

Panta rhei è la riflessione che Oliver annota sulla copia dei Frammenti eraclitei, tutto scorre, tutto si trasforma continuamente. L’identità sessuale, liberata dai vincoli sociali e culturali si esprime nella natura come idea fluida, mutevole e libera.

Il nostro eros è ondivago. Tutto dipende da chi incontriamo, dove siamo, persino dalla stagione in cui siamo. Questo è l’enigma del desiderio, indecifrabile anche a noi fino alla fine. Scopriamo allora che nessuno è mai là dove crede di essere ma ciascuno è sempre là dove il desiderio lo spinge.

L’ambivalenza sessuale, riconosciuta dalla psicologia e dalla biologia è rimossa dalla cultura.

Nell’antichità l’omosessualità era considerata naturale  perchè l’attenzione non si concentrava sull’atto sessuale, ma sull’amore tra persone che trascendeva il sesso. Di spiritualità, coraggio e forza erano le storie dei legami anche erotici tra i soldati di Sparta, tra Achille e Patroclo, tra Alcibiade e Socrate. Nella società ateniese l’amore omosessuale era tollerato se circoscritto alla forma della pederastia, cioè al rapporto tra un adulto e un giovane che non avesse raggiunto l’età matura (tra i 12 e i 18 anni). La formazione del giovane (paideia) prevedeva il rapporto amoroso con l’adulto affinchè vi fosse la totale trasmissione del sapere. Un rapporto caldeggiato dalle famiglie che doveva terminare però con la maggiore età, venuto meno lo scopo educativo.

Non è dal sesso che bisogna partire per definire i rapporti umani.

È riduttivo considerare la dimensione sessuale l’unica dimensione umana in grado di esaurire ogni rapporto, ogni legame affettivo. Ciò che lega due persone è un’attrazione prima di tutto intellettuale ed emotiva e solo dopo sessuale.

Nel film il legame omosessuale viene percepito come una situazione ordinaria grazie alla naturale accoglienza dei genitori di Elio e del contesto sociale in cui vivono. Il discorso del padre è un inno alla bellezza dell’amore e alla fortuna di incontrarlo e viverlo nella propria vita da chiunque provenga.

La maggior parte di noi non riesce a fare a meno di vivere come se avesse a disposizione due vite, la versione temporanea e quella definitiva. Capita che continuiamo ad aspettare quando quello che desideriamo è sotto i nostri occhi, lo ignoriamo, forse per paura, per non farci male. Ma non provare niente per non rischiare di provare qualcosa che spreco! Capita di sciupare il tempo, di scoprire un buon sapore e smettere per paura di avvelenarsi. Ma l’amore è veleno e antidoto allo stesso tempo, è dolore e gioia, arma e scudo, morte e vita. Adesso soffri ma io ti invidio questo dolore. Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta che a trent’anni siamo prosciugati e ogni volta che incontriamo qualcuno diamo sempre di meno.

Chiamami col tuo nome sussurra Oliver a Elio, ricreando nella telefonata in cui gli annuncia, l’anno dopo, le sue imminenti nozze, quella dimensione atemporale lontana da tutti dove l’intimità li rende ancora uguali. La nostalgia di un impossibile ritorno.

Nella scena finale sul volto di Elio che guarda il fuoco del camino vi è un senso di straniamento, di smarrimento.

Il rimpianto che conosciamo per le strade che avremmo potuto prendere e non abbiamo preso, per la vita che avremmo potuto avere e che invece non è nostra, il sogno di essere in un altrove che ci sfugge e in cui pensiamo sia riposta la nostra vera essenza, mentre dividiamo il letto e la vita con qualcuno, sognando qualcun altro.