Superba invidia

Perchè lui si e io no? Questa è la domanda principale che gli invidiosi si pongono.

L’invidia è, infatti, un sentimento sociale. Nasce da un  confronto con gli altri che ci vede perdenti, dal bisogno di difendere il nostro valore, svalutando quelli che sembrano superiori a noi.

E’ il risultato di un‘istanza di uguaglianza che il cristianesimo e la democrazia hanno diffuso tra gli uomini, rendendo fondante, nei rapporti umani, un’idea astratta di giustizia. Ma nella realtà la giustizia viene puntualmente disattesa e questa disparità di trattamento e di risultato, lungi dall’essere attribuita al merito, genera risentimento.

L’invidia è l’unico vizio che non produce piacere, è un’implosione di energia negativa che, invece di portarci a migliorare la nostra condizione, gode della demolizione e della sofferenza dell’avversario.

Privare gli altri dei loro vantaggi, infatti, è per l’invidioso desiderabile quanto l’assicurarseli.

L’invidioso si sente mancante ma non desidera colmare la sua mancanza, bensì infliggerla anche alla persona che invidia. Nella favola di Cenerentola, le sorellastre distruggono l’abito del ballo, non perchè vogliono indossarlo loro, ma solo perchè non lo indossi lei.

In-videre significa in latino guardare male, sguardo malevolo. Dante mette gli invidiosi nel Purgatorio, con gli occhi cuciti, legati di spalle alla montagna, mentre si sorreggono gli uni con gli altri, a sottolineare che l’invidia  risiede nello sguardo risentito verso la felicità altrui, ma è anche un sentimento socialmente indotto, che genera relazioni distorte.

L’invidia è un sentimento di cui ci si vergogna, da tenere nascosto. Spesso, allora, lo si  traveste da intransigenza morale, da commiserazione, da falsa ammirazione.

Si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel Tempio, si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare il cattivo esempio. ( Bocca di rosa F.De Andrè)

Se gli uomini invidiano, soprattutto, coloro che fanno lo stesso mestiere, le donne considerano tutte le altre come loro rivali. Invidiano la bellezza, lo stile nel vestire, la giovinezza, l’essere amate, un marito o un amante ricco, il successo professionale, Tutta questa fortuna è sempre attribuibile ad un unico denominatore, una certa abilità e tendenza alla promiscuità sessuale, comprovata da racconti al limite del surreale, che però vengono incredibilmente creduti, anche se privi di ogni reale fondamento.

Nel film di Tornatore Malena, una bellissima Monica Bellucci si trova ad essere odiata e diffamata dalle compaesane per la sua avvenenza e per il desiderio che suscita negli uomini. La scena in cui le vengono rasati i capelli e viene picchiata, durante la guerra, sembra realizzare il desiderio invidioso delle altre donne, che non era quello di diventare belle come lei, bensì quello di vederla finalmente imbruttita e priva di fascino come loro.

Apparentemente più benevola, in realtà molto subdola, la commiserazione. Quanto compiacimento in quel poverina, non se lo meritava, che cosa terribile che le è capitata! Quanta solerzia e dovizia di particolari utilizzano certe amiche nel raccontare alla vittima le maldicenze sul suo conto, udite da altri!

Il capolavoro dell’ipocrisia restano comunque i falsi complimenti, quel dire una cosa positiva, immediatamente seguita dalla battuta acida che rivela le vere intenzioni di chi ci lusinga. Perchè i veri amici non si riconoscono nelle difficoltà, ma quando sopportano e supportano il nostro successo.

Non invidiamo mai, infatti, chi è diverso da noi ma solo chi sentiamo simile. L’invidia serpeggia in famiglia, tra gli amici, in comunità ristrette. Invidiamo l’altro come nostro ideale inconfessato, costretti a nascondere questo sentimento perchè equivale ad una dichiarazione di inferiorità. L’invidia, infatti, è determinata dall’impotenza, dalla consapevolezza di non riuscire a raggiungere il risultato del nostro rivale, dopo che abbiamo avuto la presuntuosa certezza di poterlo fare. La superbia, infatti, aderisce all’invidia come l’edera al muro.

L’invidioso si circonda di gente mediocre tra cui può primeggiare, oppure si trasforma in un arrivista pericoloso, per trovare il modo di raggiungere disperatamente quel successo e quell’autostima che non ha mai avuto.

Nel film di Sorrentino, Loro, una corte di mediocri, arrivisti e invidiosi, cerca di raggiungere il successo diventando i lacchè di Berlusconi. Il superbo imprenditore, convinto dell’abissale distanza tra Lui, Loro e Noi risponde a Confalonieri che gli chiede se si aspettasse davvero di essere amato da tutti, nonostante fosse l’uomo più ricco del Paese- si mi aspettavo proprio questo-. L’uomo del fare che non ha paura del vuoto, perchè lo vede da lontano, che continua a rispondere ai pochi che lo contraddicono-io non mi offendo mai– che insegna al nipote che l’apparenza inganna solo i mediocri perchè la verità è il frutto del tono e della convinzione con il quale l’affermiamo, è così legato al proprio Io, così presuntuoso, da pensare di poter eludere un confronto con gli altri che non sia la mera adorazione. E’ convinto di non poter essere invidiato e odiato perchè si sente irraggiungibile. In questo film gli uomini commettono il più grande peccato del nostro tempo: il culto superbo di se stessi, che si nutre del disprezzo per gli altri e  fa smarrire il senso della solidarietà umana. Un contesto in cui l’invidia diventa molla propulsiva delle peggiori iniziative, il cui fallimento lascia increduli. Un personaggio come Scamarcio- Tarantini che, uscito a becco asciutto dai festini in Costa Smeralda, da lui abilmente orchestrati, si chiede- Che cosa abbiamo sbagliato?– si dimostra convinto di poter raggiungere, con la sua furbizia senza scrupoli, tutto ciò che desidera.

Chi vede Loro e guarda Lui riconosce anche Noi. Non in sala, ma sullo schermo. Nascosti da qualche parte. Di spalle.

(M. Travaglio)

Come si fa a riconoscere i propri limiti in una società come questa che ci spinge sempre a superarli? Rinunciare alle mete troppo alte, quando le nostre capacità non ci sembrano adeguate, non significa una sconfitta ma l’applicazione di una misura, di un atto di ragione che ci  porta a riconoscere il nostro limite e a vedere le cose come sono, e non sempre in rapporto ad altre. Diventiamo coscienti di ciò che abbiamo e smettiamo di fissarci su ciò che che non abbiamo. Impariamo ad ammirare chi è più bravo di noi nello scalare le montagne, noi magari saremo imbattibili nel lavoro all’uncinetto.

Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli? Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori? Ti sei accorta anche tu che in questo mondo di eroi nessuno vuole essere Robin? (C.Cremonini)