Quando i genitori deludono

Le fragilità dei genitori ricadono inesorabilmente sulla vita dei figli. Non c’è da meravigliarsi, allora, se nelle fiabe i protagonisti sono tutti orfani. Mentre, infatti, si è impegnati a crescere, maturare e costruirsi il proprio futuro, dover contenere, sopportare, supportare, comprendere e consolare i propri genitori è una perdita di tempo e di energie che, almeno nelle favole, si riesce ad evitare. Fare i genitori non è facile, ma anche essere figli, soprattutto di una generazione che non è mai davvero cresciuta. Tempo fa la pubblicità di una nota merendina riproduceva l’eliminazione fisica e metaforica dei genitori, colpiti da un  asteroide, facendo appello a quel naturale bisogno di aggressività e di canalizzazione delle emozioni negative che i rapporti d’amore, soprattutto verso le figure da cui si è dipendenti, provocano. Proiettare i propri fantasmi interiori in un mondo fantastico, garantito da un finale sempre lieto, non prepara e non ripara, però, dallo smarrimento che si prova nel momento in cui si  scoprono le debolezze dei propri genitori.

Nell‘Isola di Arturo di Elsa Morante il mondo ingenuo e fiabesco del protagonista ruota intorno alla figura del padre, sempre assente e sempre trasfigurato nei sogni e nei desideri infantili del figlio. L’ansia di piacergli, il tentativo di conquistarne l’affetto e l’attenzione rendono tenero e goffo questo ragazzino innamorato fino al giorno della terribile scoperta: quell’uomo tanto idealizzato, grande e grosso, piange e si strugge d’amore per un giovanissimo scapestrato, e infine parte con lui dimenticando il compleanno del figlio, da cui cerca di ottenere persino una debole approvazione. La vita adulta di Arturo comincia così, prendendo le distanze dalla figura perfetta e ideale amata nell’infanzia.

Non si può smettere di amare i genitori anche quando ci deludono, quando ci accorgiamo che anche loro sono umani, con luci ed ombre. Un tradimento, un vizio indicibile, un comportamento scorretto modificano la stima ma non l’amore a cui si resta, comunque fedeli.

Sono queste fedeltà invisibili, questi patti non scritti che spingono i bambini in affido condiviso, dopo una separazione, a praticare il silenzio per salvare il genitore, di volta in volta, assente. Sottoposti al sacrificio di cambiare spesso casa, al rituale di raccogliere le loro cose, attenti a non dimenticare niente, migrano carichi di borse da un mondo ad un altro. Se le separazioni sono conflittuali, al rientro vengono annusati per cercare le tracce del nemico, interrogati non per sapere se sono stati bene ma per cogliere le eventuali mancanze dell’altro genitore, che non si nomina mai se non con epiteti non certo gentili. Ogni volta che sentono parlare male dell’uno o dell’altro un senso di lacerazione li scombussola il cuore, scatta un istinto di protezione fortissimo che esplode in un tenace silenzio. Prigionieri di un meccanismo che li schiaccia, se accettano le offese che sentono dire, diventano complici contro uno dei genitori, se le rifiutano feriscono quello con cui si trovano. Per uscire dall’impasse si sdoppiano. Assumono personalità diverse a seconda delle aspettative dei due genitori, pensando così che saranno amati, anche se loro si odiano. Testimoni involontari, confidenti impreparati scoprono che mamma e papà si innamorano e fanno sesso come gli altri, piangono in preda a crisi isteriche, si chiudono nello spazio inaccessibile dei loro problemi, negando attenzione e ascolto.

Ma anche quando i genitori restano uniti, scoprire che magari  sono rimasti insieme per i figli è un peso duro da portare. Capire che hanno sacrificato la loro vita per noi, rinunciando magari a vivere un altro amore alla luce del sole, dà la terribile sensazione di aver vissuto in un mondo fittizio dove tutto è falso, anche l’amore. Decidere di mantenere i segreti scoperti, che potrebbero portare alla dissoluzione del legame familiare, richiede una dose di precoce maturità, che si paga spesso con un terribile cinismo, e la difficoltà a lasciarsi andare, e a investire se stessi nelle relazioni d’amore.

In tempi di famiglie a composizione variabile le favole andrebbero riscritte. Orchi e matrigne cattive che rappresentavano la parte oscura del genitore, da combattere e superare per diventare adulti, senza metterne in gioco l’affidabilità, dovrebbero lasciare il posto a personaggi più complessi, capaci di quella ambivalenza di cui è permeata la realtà dei sentimenti. Non mostri da abbattere, ma figure più umane, che poco deludono perchè poco illudono, e con cui ci si ritrova, ormai, a condividere, senza grandi differenze generazionali, la ricerca della  principessa o del principe azzurro.