Estote parati, tenetevi pronti, come i discepoli di Cristo o, più laicamente, come i giovani scout.
Tutti, prima o poi, abbiamo una grande prova che ci attende e, oggi più che mai, uno tsunami che ci accomuna.
Protagonisti, nostro malgrado, di un film distopico dal finale incerto stiamo così, come le foglie in autunno di Ungaretti, in attesa di cadere.
E se la paura di morire ci porta di solito a divorare il presente, in tempi di virus e quarantene diventa obbligatorio rallentare.
Gli antichi greci rappresentavano Chronos, il tempo che corre, il tempo sottratto alla vita, come un gigante che divora i suoi figli. Kairos, invece, il tempo lento, gravido di contenuto, assaporato, come un giovane alato. Simbolo del cambiamento che spinge aldilà, nel futuro, con un ciuffo sulla fronte e la nuca rasata, a sottolineare la difficoltà di coglierlo e trattenerlo.
Ora possiamo scegliere di vivere questo momento storico a cui siamo chiamati come Chronos, come perdita, o come Kairos, arricchimento.
Sentirci orfani del tempo del fare che si accumula o fortunati eredi del tempo dell’agire consapevole che ci qualifica come uomini degni.
Rallentare ci costringe, indubbiamente, a fare i conti con quello che nella nostra vita non ci piace più, ci va stretto o, addirittura, ci immobilizza. Non per niente Kairos trattiene con difficoltà sulle dita una bilancia. E’ facile perdere l’equilibrio in questi momenti di crisi, di forzata vicinanza o lontananza, da chi diciamo di amare o da chi amiamo.
E se la paura di un nemico comune ci compatta e ci rende solidali, l’angoscia di un pericolo indefinito che può viaggiare nell’abbraccio più dolce ci isola e ci rende diffidenti.
Ci può essere una qualche felicità in questa condizione di captività?
Se per felicità intendiamo il senso letterale di felix, fecondità, si, potremmo riuscire ad essere felici, dando un senso a quello che ci sta accadendo. Non dico che l’epidemia possa essere un’opportunità, naturalmente, sarebbe blasfemo, ma lo spirito con cui l’attraverseremo e la nostra capacità di continuare a dire si all’amore possono diventarla. Possiamo cercare di trasformare un’attesa forzata in un’attesa abitata, gravida di futuro.
Come ci si ama in tempi del coronavirus?
A distanza, sicuramente. Si può essere distanti logisticamente, sentimentalmente, sessualmente, nelle varie combinazioni.
Il tempo di quarantena è un tempo di costrizione e la costrizione mostra, prima o poi, la nuda verità. Lo stato di emergenza potrà far riscoprire sentimenti da tempo sopiti per chi ci vive accanto, che sfumeranno forse al primo riapparire della normalità, oppure rompere l’incantesimo della passione per chi non vive con noi, perchè, a volte, da lontano si vede meglio. Potremo innamorarci di un amore virtuale perchè abbiamo bisogno di sperare, oppure riprometterci di tornare ad amare perchè la vera solitudine, in quarantena, pesa il doppio.
La paura del contagio è una prova di disamore? La vera passione non rinuncia al contatto carnale?
Nella Traviata Alfredo corre da Violetta, sapendola malata di Tisi, e la poverina spira tra le sue braccia, coperta da contagiosissimi baci.
Ma in tempi di Coronavirus il contagio potrebbe non essere unilaterale, e allora rinunciare diventa un atto d’amore.
La forza dell’amore si dimostra nella rinuncia e nell’attesa. Novelli Siddharta non ci resta che pensare, digiunare, aspettare.
-E di che vuoi vivere se non possiedi nulla?
-Io so pensare, digiunare, aspettare. Non possiedo niente, sono povero, ma lo sono volontariamente, quindi non sono in miseria. Quando un uomo non ha niente da mangiare deve imparare a digiunare, questo lo renderà libero, potrà a lungo aspettare, potrà farsi assediare dalla fame e ridersene”. Siddharta di H.Hesse
Aspettare, aspettare, aspettare……
L’amore ai tempi del colera di G.Marquez si chiude con Florentino Ariza, finalmente accanto a Fermina Daza, che simula un’epidemia di colera per restare da solo con lei, indisturbato, su un battello che naviga sul fiume. E al comandante che, stanco di andare su e giù senza poter attraccare, per paura del contagio, gli chiede quanto durerà questa quarantena risponde:
“53 anni 7 mesi e 11 giorni, notti comprese…per tutta la vita”
Per i piu fortunati si intende.
Mi chiamo Alessandra Pennetta, sono un’insegnante di Storia e Filosofia, divorziata, fidanzata. Ho due figli di 17 e 21 anni, una madre ottantenne, un bassotto pelo ruvido. L’idea di fare un blog nasce dal piacere di comunicare, di dare e ricevere consigli, di stare al mondo con una postura nuova, affrontando gli eventi in modo attivo, tonico, personale.