La storiella dell’asino che, posto davanti a due balle di fieno perfettamente uguali, nell’impossibilità di scegliere quale mangiare per prima, non sceglie, resta fermo e muore di fame, ci mette in guardia dall’uso eccessivo della ragione nelle nostre scelte di vita, a discapito della volontà.
Perché agire richiede indubbiamente conoscenza dei fatti e una certa dose di immaginazione per prevedere le possibili conseguenze, ma soprattutto volontà di azione.
Agire significa essenzialmente scegliere, e poiché, per quanto possiamo cercare di prevedere tutte le alternative possibili, soffriamo sempre del limite dell’incertezza e dell’agguato dell’imprevisto, la nostra scelta non potrà mai essere solo razionale.
Il desiderio è ciò che ci muove e il coraggio. Spesso decidiamo il movente o lo scopo di un’azione a posteriori, solo dopo che l’abbiamo compiuta e forse questo è l’unico modo di vivere senza cadere nell’immobilismo paralizzante dell’incertezza.
Scegliere diventa impossibile per molti quando si tratta di prendere quelle decisioni che ci portano ad un cambiamento radicale di vita, all’uscita da quella “zona confort” che negli anni ci siamo costruita, dove ci muoviamo senza difficoltà. Acque placide in cui navighiamo a vista ma che all’improvviso possono diventare una palude in cui ci impantaniamo. È così che ci mettiamo in attesa che qualcuno o qualcosa agisca per noi.
Il nostro tempo è affetto da un “determinismo parziale” nel senso che vi è una tendenza contemporanea a sollevare l’uomo dalle sue responsabilità negative addossandole a fattori esterni, la società, i traumi infantili, le malattie, mentre si esaltano come successi individuali le azioni positive.
Meglio essere considerati irresponsabili che colpevoli.
Passiamo anni a sperare in una soluzione esterna, a sognare vie d’uscita da botole sotterranee o finestre laterali quando la via più semplice è la porta principale, anche se questo determina un’assunzione di responsabilità.
Preferiamo la tristezza quotidiana ad un periodo di sofferenza, necessario per rinascere. E così, nell’illusione di avere un tempo infinito davanti a noi, trasciniamo un quotidiano frustrante, condannati all’infelicità.
D’altronde la natura dell’uomo consiste nell’inquietudine che lo porta a progettare il futuro, trascurando la pienezza del presente.
Hanna Arendt notava che, in inglese, il verbo Will significa volere ma è anche l’ausiliare con cui si si costruisce la forma verbale del futuro. Quindi vorrò decidere di essere felice e magari nel frattempo accadrà qualcosa che mi solleverà dalla colpa o qualcuno che mi darà la forza di agire, di decidere, di cambiare.
L’indecisione logora la nostra anima. Non sarà mai il momento giusto per agire e questo sarà il leitmotiv delle scelte grandi, di quelle piccole ma soprattutto delle non scelte dell’eterno indeciso.
Forse è a causa dell’eccesso di alternative, la paura di perdere un’occasione migliore, oppure dell’eccesso di perfezionismo per cui la scelta genera ansia da prestazione o ancora di una scarsa autostima che impedisce di assumersi il rischio di un errore. Sembra quasi che la necessità di decidere tutto all’ultimo momento nasca dal timore di deludere le inevitabili aspettative e, talvolta, nasconda un intento manipolatorio perché costringe l’altro a ”fare” al posto nostro.
Insomma la rinuncia ad agire non è né neutra né felice. Il prezzo da pagare per questa rassicurante immobilità, che garantisce sempre un’apparente via di fuga dall’impegno, è un profondo senso di frustrazione che presto diventa debilitante, abituale, contagioso.
Nelle azioni di un individuo, purtroppo, il carattere agisce più dell’ intelligenza e l’indeciso, pur di fuggire dalla responsabilità della scelta, finisce col fare la fine di quell’ubriaco che cerca a terra, vicino ad un lampione, le chiavi di casa, non perché le abbia perse in quel punto ma perché là c’è più luce e, soprattutto, perché là è sicuro di non trovarle.
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Mi chiamo Alessandra Pennetta, sono un’insegnante di Storia e Filosofia, divorziata, fidanzata. Ho due figli di 17 e 21 anni, una madre ottantenne, un bassotto pelo ruvido. L’idea di fare un blog nasce dal piacere di comunicare, di dare e ricevere consigli, di stare al mondo con una postura nuova, affrontando gli eventi in modo attivo, tonico, personale.