Haters: cattivi si diventa?

Se all’improvviso diventassi invisibile cosa faresti? O meglio cosa non faresti più?

Platone nella Repubblica  racconta di un pastore, Gige, il quale trovato un anello magico che gli garantisce l’invisibilità, si reca dal suo Re e, dopo averne sedotto la moglie, si impossessa del trono.

Nessun uomo, anche il più onesto, resiste a compiere azioni malvage se non visto. La morale è quindi una costruzione sociale.

Non è un caso, infatti, che la religione lasci credere all’uomo di essere sempre osservato da Dio. Se l’uomo perde la sua dimensione corporea perde anche quella relazionale che lo porta al rispetto delle regole sociali.

E’questo che accade nella rete, la possibilità di agire nell’anonimato crea un fenomeno di deindividuazione, di perdita, cioè, della dimensione della responsabilità individuale e dell’autocontrollo.

L’appartenenza ad un gruppo, l’essere uno tra tanti, libera dal peso del senso di colpa e dalla vergogna. Nascosti dietro una tastiera, magari sotto un falso profilo, si da sfogo ad un’aggressività, ad un odio di cui non si è del tutto consapevoli.

Vittime preferite le donne, a seguire i gay, gli immigrati, tutti investiti da una valanga di insulti. L’effetto branco risulta ancora più evidente nelle echo chamber, un meccanismo che consente di far circolare in rete solo alcune notizie, prevalentemente bufale o fake news, senza alcuna verifica della fonte ed escludendo ogni voce contraria, ottenendo così un effetto amplificatore e moltiplicatore.

L’hate speech, l’incitamento all’odio è anche un potente strumento politico, si dice infatti che abbia avuto un’influenza determinante nelle elezioni presidenziali americane e nella Brexit inglese.

La libertà di opinione, utile al dinamismo della società non può diventare lesiva della dignità umana.

Facebook interviene con il fact checking, un codice di condotta che rimuove entro 24 ore i contenuti che inneggiano all’odio, ma i sistemi di riconoscimento semantico non sono ancora così evoluti da poter fare a meno della segnalazione individuale e d’altra parte la rete proprio perché virtuale appare ingestibile dalla normativa.

Il diritto si fa “liquido” non regola ma viene regolato, si limita cioè a tracciare le procedure, ad indicare un modo di operare o di comportarsi in rapporto alle circostanze.

Non è la minaccia di sanzione che risolve il problema. Bisogna insegnare alle persone il valore delle parole.

Nel Manifesto della comunicazione non ostile, progetto sociale contro la violenza nelle parole (paroleostili.com) si indicano dieci punti che dovrebbero servire per rendere più “umano” il nostro abitare la rete.

Dire in rete solo ciò che si avrebbe il coraggio di dire di persona, essere consapevoli che le parole che usiamo ci rappresentano. Prima di parlare bisognerebbe ascoltare e contare sino a dieci, prendendosi cioè del tempo per formulare il pensiero.

Le parole, infatti sono importanti, possono essere un ponte che mi avvicina all’altro ma anche pietre con cui posso ferire, anche mortalmente.

Le idee si possono discutere ma le persone vanno rispettate, gli insulti non sono argomenti e a volte il silenzio è più significativo di mille parole.

Educare, in questo caso, significa restituire alle persone il principio di realtà.