Frammenti di vita perduta

Quello che mi manca di lui sono io quando stavo con lui.

L’abbandono è unilaterale, inaspettato, irrevocabile. Toglie il futuro e rende attuale una decisione che è stata già presa senza di noi, una decisione che ci cancella. L’altro se ne va, continua a muoversi mentre noi restiamo fermi, pietrificati. Sono stato piantato è una metafora che ben disegna questa immobilità a cui veniamo condannati. Noi rimaniamo indietro, nel passato.

Nel lasciare si scatena un conflitto tra i tempi interiori dei due individui. Se il tempo dell’amore è circolare, quasi assente perchè si pensa che non finirà mai, con l’abbandono il tempo torna ad essere lineare, c’è un prima, la storia che si è vissuto insieme, e un dopo, la fine senza l’altro, un futuro non ipotizzabile.

Ti lascio, non ti amo più, sono affermazioni che non ammettono repliche, necessariamente crudeli. E più il rapporto è stato profondo, simbiotico, più diventa necessaria la brutalità: per riuscire a interrompere l’attaccamento e l’identificazione con l’altro e non dare spazio a tentennamenti, per troncare il passato e lasciare posto al futuro, giurando fedeltà magari al nuovo amore, per non sentire il senso di colpa per il dolore che si sta procurando, perchè è facile odiare se si è amato davvero, per aiutare anche l’altro a staccarsi.

Essere abbandonati rende evidente la propria inessenzialità, è un dolore che non finisce col distacco ma dura nel tempo, come l’arto che è stato amputato e continua a fare male, anche se non c’è più. E questo è tanto più vero quando due persone hanno fatto insieme un progetto di vita, che uno dei due interrompe unilateralmente.

Chi ha scarsa considerazione di sè finisce col riporre, nel rapporto d’amore, tutte le sue speranze di rivalsa nei confronti del mondo. La persona amata diventa indispensabile, necessaria per affrontare il quotidiano, una sorta di coperta di Linus, un filtro, che attutisce la fatica di relazionarsi con gli altri. Se i rapporti d’amore fossero sempre felici questo investimento totale sarebbe fonte inesauribile di serenità, la soluzione di tutte le nevrosi e di tutti i bisogni. Ma il più delle volte l’amore finisce, lasciando nella disperazione chi non ha mai pensato un piano B, un progetto individuale, un’alternativa che prevedesse il mettersi in gioco da soli.

Una donna spezzata di Simone De Beauvoir racconta la distruzione sommaria che l’abbandono provoca in chi compie questo atto di totale affidamento all’altro. La passione felice dell’inizio, la rinuncia ad una realizzazione professionale per potersi meglio dedicare ai bisogni della famiglia, il rapporto che lentamente si intiepidisce sino a spegnersi, la consapevolezza del corpo che si appesantisce e invecchia nello sguardo disamorato del marito-dovresti metterti un costume intero– l’idea illusoria di essergli indispensabile, di essere vincente nella pratica del sorriso, nell’attesa paziente che lui torni dai viaggi con l’amante, perchè lei è capace di chiedere ma non di esigere, nella certezza che lui non avrebbe mai lasciato la famiglia per una passioncella. Ma lui se ne va, e prima di abbandonarla la distrugge per riuscire finalmente a liberarsene. Non è mai stato un marito fedele, non la ama da anni, neanche come madre è stata perfetta come crede, le figlie si sono allontanate dalla sua invadente presenza.

Perchè mi ha parlato soltanto ora? Avrebbe dovuto avvertirmi. Avrei avuto anch’io delle storie amorose e avrei ripreso a lavorare, non ci sarebbe questo vuoto intorno a me, mi ha precluso la possibilità di affrontare armata una rottura.

Si può affrontare armati una rottura? Si può evitare di soffrire dopo un abbandono? Non è forse vero che usare strategie per evitare di amare troppo si traduce nel non amare affatto? Che la paura dell’abbandono diventa profezia dell’abbandono?

Per frequentare l’amore bisogna non avere paura del dolore, del rischio della solitudine, ma soprattutto imparare a  non sentirsi limitati dalle aspettative dell’altro e non cercare il proprio senso nel suo sguardo.

Il segreto è questo.

Bisogna diventare le due E.

Quella con l’accento per essere

quella senza accento per unire.